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      Le stoppie vecchie dell'erba inquietano come questo pensiero che neanche nel sonno mi dà pace ed è insolubile a tutte le buone virtú della terra, ed è duro, e mi tormenta in ogni posto. Non posso dormire. Un disgusto orribile storce le mie guance per tutta questa vita piena di gioia che mi circonda. Che ho commesso io di non potermi fondere dentro quest'ora calda in cui una divina certezza d'amore freme da foglie e tronchi e fiori e uccelli e sole? Ficco le dita aperte nel groviglio dell'erbe come si fa per scoprire la bianca fronte dell'amata, e gli occhi suoi mi guarderebbero fissi serrando l'infinito fra i nostri due sguardi. Dov'è la tua bocca, creatura, ch'io la baci? Dove sei?
      Solo m'hai lasciato qui. E posso percorrere tutte le vie e i monti e i mari della grande terra, e in nessun posto ti ritroverò piú. Sono ampie e immense le strade del vento piene di spume e ondeggiamenti; ma tu sei piú in là. E se anche il sole mi fa chiari questi stanchi occhi, io non ti posso piú vedere, tanto lontana sei andata. Quando la notte è viva di stelle, ti cerco negli spazi immensi; ma l'infinito è senza di te, perché io non ti posso piú stringere fra le braccia, creatura.
      Ed eri fresca e odorosa come l'alba. Eri un'alberella di primavera. Quando tenevi la mia mano nella tua bella mano lunga, dovevo camminare dritto, con passo fermo. Io ti guardavo negli occhi irrequieti, curiosi di foglioline sotto le foglie secche, che improvvisamente si spalancavano meravigliati o profondi come il dolore, e ti sorridevo.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103