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      Si sdraia accanto alla moglie grassa. - Sogna che venti giovanotti elegantissimi le si accalcano intorno ammirati del suo cappello nuovo. - S'inquieta perché non seppe vendere quelle casse d'agrumi. - Pensa che finalmente le vacanze universitarie sono finite, e si ritorna a Vienna. - Chissà perché la sorella ha guardato cosí fisso quell'uomo? - Bisogna che tu sia piú cortese con lui.
      Questa è la vita che esigeva il suo sorriso. Ella doveva esser allegra. Ella aveva tutto. C'era uno perfino che studiava i segni di lapis sui libri ch'ella leggeva, e sapeva tutte le strade dove passava ogni giorno. Tutto ella aveva. E si ammazzò.
      Ah! - È lucido il mio coltello, natura! Gli occhi vi si specchiano come in volto fraterno. La sua lama è pura di macchia come punta di piccone. Acciaio di Solingen, manico di corno, serramanico durissimo. Fedele e vigile compagno delle mie notti, ficcati dritto nella terra accanto alla mano destra. Silenzioso e sicuro. Io chiesi un temperino a un'amica; essa mi portò questo quindici centimetri di acciaio. Silenzioso s'arrotò sui rami e sui tronchi. Ora ride di freddo e di tormento. Silenzioso vuoi riscaldarti? Tu mi bruci le labbra dal freddo.
      Ricordi quella notte? Era caldo, no, dentro la faina? Come la infiggemmo! Sussultava torgendosi rotta come una biscia, e tentava di strattarti dalla terra. Ma io, ridendo benignamente, le sputavo fra i denti fradici di sangue, e ti aiutavo da buon fratello affondandoti col pugno, sicché il tuo manico incassava un solco sempre piú fondo nella schiena stroncata, e la sua pancia s'appiattiva contro il suolo, il suo strido s'inveleniva come un cantino sempre piú strinto piú strinto.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





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