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      Sta bene. Ma lavorerai.
      Tu non sai niente. Un piccolo atto incomprensibile ha disperso le meschine verità che t'eri racimolato a schiena curva. Sei solo e nudo. Sei inerte. Sei davanti a un mistero che ti sarà impenetrabile per sempre. Sta bene. So. Ma lavorerai.
      Non sai perché l'erba cresce e il mondo esista. Non sai se il mondo esiste o no. Non sai cosa tu sei. Può essere che l'universo sia nato da una maledizione. Il tuo dannato lavoro sarà, forse, eternamente vano. Ma lavorerai, come se tu fossi l'ultimo dei rimasti.
      Dopo - non so se vi sarà riposo. Ma ti prometto che qui non avrai riposo. Qui lavorerai. Questo è certo.
     
     
      Io voglio rifarmi forte e duro. L'aria del carso ha già sfregato via dal mio viso il color di camera. I polmoni tiran piú lungo la fiatata. La schiena sente poco i sassi. Io amo il corpo robusto, capace di patire, di resistere, di lavorare. I deboli mi fanno schifo, come creature dipendenti dalla pioggia e dal bel tempo. Salute è condizione di libertà. Le malattie vadano da chi è abituato a stare in letto - diceva mio zio - e non mi vengano a rompere le scatole.
      Mi fa piacere poter stroncare sul ginocchio un tronco di nocciolo, e buttar venti passi lontano la pietra che quasi non posso alzar fino alla spalla. Mi fa piacere ricordare che una volta c'erano uomini che sradicavano un quercione dalla terra per servirsene di bastone.
      Buona cosa è poter difendere col proprio pugno la propria vita. Non amo il revolver; non saprei, forse, sparare contro un uomo. Difendermi a coltellate, sí.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103