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      Entrammo dal giudice colla speranza: si credeva che finito l'interrogatorio ci avrebbero rimandato: invece quale non fu la nostra sorpresa, quando ci vedemmo di nuovo rinchiudere nell'aborrita stamberga, che ci aveva accolto fino a quel giorno?
      - Non ci mandano via che a guerra finita - Borbottň stizzosamente uno di noi.
      Chinammo tutti la testa, che tale cominciava a diventare l'universale credenza.
      E passň un altro giorno, eppoi un altro: era il tre di novembre; la vigilia eravamo stati di un umor perfidissimo; senza provare alcuno dei sentimenti dettati dalla religione, quelle campane che invitavano a andare a commemorare i defunti, ci facevano pensare ai nostri poveri morti, a quelli che caddero per le nostre idee, a quelli che cadevano in quel mentre per far scudo coi loro corpi a una pericolante repubblica, per opporre un'argine all'irrompente valanga dei venduti soldati della monarchia degli Hokenzöllern... Noi eravamo mesti, e si passava intere mezz'ore difaccia alle quadrelle dell'inferriata, tanto per vedere quel miserabile lembo di Cielo: orizzonte rimpiccolito come quello dell'idee che ci bollivano in testa e che non si potevano espandere.
      Il tre novembre fu un gran movimento pei corridoi, un via vai continuato e un accorrere di guardiani. Qual nuova avventura era giunta a disturbare la quiete monotona di quel sepolcro di vivi?... Il caso era nuovo.
      Rossi, Piccini, Stefani ed altri Fiorentini avevano avuto l'idea bizzarra di commemorare i caduti a Montana; ne correva l'anniversario, e loro, come avanzi degli Chassepots di De Failly, non ultima celebritŕ di Sédan, vollero degnamente onorarlo; coi pagliericci improvvisarono un catafalco, ci posero sopra una camicia di flanella rossa, lo circondarono con venticinque candele steariche, comprate la sera avanti, eppoi attaccarono un cartello nel quale a parole cubitali era scritto:


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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