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      - E come è vestita la cavalleria in Francia? Gli domandò il discendente di Sobieskj, che persino in viaggio era di un'eleganza ineccezionabile.
      - Da soldato! - Rispose l'altro bruscamente e volgendosi a noi ci disse a bassa voce e in genovese - Dev'essere un imbecille, un soldato di ventura.
      Tale opinione ci fu poco dopo convalidata; il nostro compagno di viaggio cominciò a parlarci delle sue conquiste, dei cavalli che aveva lasciato a Vienna e degli illustri parenti che aveva lasciato a Berlino, e terminò mostrandoci il ritratto della sua maitresse, una bella bionda che non in fotografia, ma in carne ed ossa avremmo desiderato avere davanti. Durante tutta la campagna non vidi più questo Pollacco; probabilmente come tanti altri avventurieri avendo veduta la malaparata sarà andato in cerca di fortuna migliore: chè la campagna di Francia ebbe questo di buono: pochi volontarii, ma i pochi ispirati e che dicevano e facevano davvero... ne diano prova luminosa le migliaia dei cadaveri che abbiamo lasciato lassù.
      A mezzogiorno preciso il vapore si mosse; tutti salimmo in coverta. La giornata era superba, il panorama incantevole. Il nostro battello, che si poteva chiamare un guscio, tanto era piccolo, costeggiava la bella riviera che è una delle prime bellezze della bellissima Italia; noi non ci scostammo mai più di cinquanta passi da riva; si passava adunque vicinissimi a quei seni, a quei golfi che s'intersecano nelle montagne, ora ridenti per il verde delle piante, ora tristi per il cenerognolo dei molti uliveti, ora orride per il colore rossiccio delle pietre e per la mancanza di abitazioni; i cento villaggi, i pittoreschi castelli che si vedevano spuntare qua e là, e dominare superbi sulle vette delle colline e dei monti; le capannuccie dei pescatori a cui ad ora ad ora si scorgeva legata qualche barchetta, le onde leggermente increspate dal venticello che rapiva i profumi dalle piante del lido, e li offriva a noi ricreandoci, gli alcioni che apparivano a fior d'acqua, che si tuffavano e riapparivano scuotendo le ali immense, e il cielo tutto sereno, celeste come l'estesa superficie del mare ci facevano credere di essere in primavera, e ci facevano mandare un saluto dal profondo dell'anima alla terra dell'amore e della poesia, a quell'Italia che si biasimava, si vituperava vivendoci, ma che ora si sentiva di amare più di noi stessi.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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