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      Adempiute le formalità, di quella specie di arruolamento che si firmava presso di loro, noi facemmo noto a quella gente, il nostro proposito di andare diretti al quartier generale dì Garibaldi.
      - Loro possono andare anche con Frapolli - Ci disse il segretario - Tutte le vertenze sono accomodate e i due generali, glielo assicuro io, camminano verso la medesima mêta.
      - Sono belle assicurazioni, ma noi abbiamo deciso di raggiungere Garibaldi e vogliamo andare a Digione.
      - Facciano come vogliono; stasera partono una cinquantina di volontarii... potranno andare anche loro - Borbottò il presidente, non nascondendo un senso di malumore e di contrarietà: poi, rivoltosi ad Omero Piccini, fratello di quello che era sul Var e in prigione con noi, gli proferì in tuono brusco: Lei non può andare.
      - E perché?
      - Non lo vede... è un ragazzo.
      Difatti il nostro compagno aveva 17 anni.
      - Eppure, interrompemmo noi, è già stato a Mentana.
      - Allora faccia lei... Stasera alle dieci sieno qui... se vogliono partire.
      Cosa dovevamo fare per giungere alle dieci?.. Entrammo nella taverna della sera avanti... Ah! così ci fosse venuto un granchio alle gambe!.. Rivedemmo le simpatiche Ebi che con tanta grazia porgevano il nettare agli avventori, entusiasti delle loro bellezze, le rivedemmo, e ci attaccammo discorso; si parlò della guerra, della Francia, delle donne Italiane, che esse dicevano bellissime, delle prossime emozioni del campo, della moda, dei vestiti corti, del ciuco ammaestrato che facevano vedere sul porto, della guardia mobile, dell'esercito di Bourbaki e dei pasticcini di Strasburgo che non arrivavano più. Erano discorsi le più volte senza senso comune, ma che servivano ammirabilmente per farci ammazzare alla meno peggio qualche ora.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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