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      Dopo queste poche parole, se ne andarono tutti, e si stava per andarsene anche noi dell'esigua combriccola, che si era mossa da Firenze, quando ci sentimmo chiamare su di verso il terrazzo e avemmo appena tempo di voltarci che si era abbracciati e baciati...
      - Ne eravamo sicuri!
      - Credevamo dì trovarvi quassù.
      Guardammo e vedemmo il Piccini e lo Stefani già vestiti da Garibaldini, che ci salutavano così affettuosamente.
      - O Rossi?... Domandammo noi altri.
      - Rossi è a lavorare... Riatta tutti i fucili della compagnia... Lo vedremo più tardi!
      - O come mai siete arrivati a raggiunger Garibaldi?
      - È una cosa lunga!
      - Allora ne riparleremo stasera, perché noi si ha un'appetito birbone, e si ha una voglia di dormire grandissima.
      - Per dormire non ci è bisogno d'andare all'albergo.
      - Davvero?
      - Sicuro!.. Venite con noi dal mair ed avrete un biglietto d'alloggio... qui in Francia, in tempo di guerra, i militari hanno questo diritto.
      - Evviva la Francia!.. Gridammo noi, sedotti ed entusiasmati dall'idea di non spendere quei pochi piccioli che ci erano rimasti, onde procurarci una stanza.
      - Venite dunque con me - Disse il Piccini e tutti noi lo seguimmo verso la piazza maggiore della città.
      Durante il nostro tragitto cominciammo a farci un idea del corpo d'armata che era stato affidato all'eroe dei due mondi; vedemmo i Franchi tiratori, i Mobilitati, gli Spagnoli, la Croce di Nizza, le Guide: i costumi, gli abbigliamenti di questi giovani soldati della libertà, formavano un contrasto così bizzarramente artistico, che ti faceva credere di essere in un mondo nuovo, in un mondo variato; ad ogni cantonata tu vedevi un nuovo vestiario: pareva quasi di avere in faccia agli occhi un caleidiscopio continuo; chi aveva in cuore un po' di sentimento di artista, lo si poteva facilmente conoscere dal modo con cui portava le piume al cappello e la svelta casacca; una collezione di penne di tutte le qualità; dall'aristocraticissima penna di pavone, alla plebea di gallina, che forse rammentava un allungamento di mano non permesso dal Codice, tu vedevi brillare sui cappelli di questi amabili matti, ogni specie di questi arnesi indispensabili agli animali che s'elevano dal suolo.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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