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      Dopo aver confabulato con varii amici nel cortile del quartier generale, vedendo che l'orologio segnava le undici e mezzo, ci movemmo verso la Madaleine, ansiosi di sapere in qual maniera ci avessero cucinati. Impazzamo una buona mezza ora per rintracciare questa caserma, che non era caserma ma un antica prigione, e che era situata al lato opposto della città. Tra una caserma e una prigione io non so trovare differenza alcuna e perciò trovai più che coerente colui che aveva fatta la scelta.
      Una scala, mezza rovinata, per la quale era necessario andar di sghimbescio, portava ad una specie di torrione, il cui interno era costituito da una stanza, più larga che lunga; il pavimento era tutto coperto di paglia, sulla quale si vedevano sdraiati una cinquantina di volontarii che aspettavano a braccia aperte l'arrivo dell'ufficiale pagatore. Tra questi volontarii alcuni parlavano francese: sarà una ridicolezza, ma io la voglio confessare tale e quale ai lettori; d'altronde, dirò con Terenzio:
     
      Ego homo sum et nihil humanum a me alienum puto;
     
      Io provai un pò di rabbia a veder vestiti colla camicia rossa individui che non appartenevano all'Italia; saranno stati fior di soldati, eccellenti ragazzi, patriotti e repubblicani a prova di bomba, ma abituato a diffidare degli altri, m'annoiava un pensiero: Chi sa, se noi avessimo vinto che tutto il vanto della vittoria non fosse attribuito a quei Francesi che erano nelle nostre file, e che invece tutte le invettive non si fossero volte al nostro indirizzo, qualora le sorti dell'armi non ci fossero state propizie?


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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