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      Mi voltai immediatamente, e non potei fare a meno di proferire un grido di stupore.
      Quella mano che mi aveva così gentilmente toccato, era la mano d'Aissa. La gentile ragazza indossava un bellissimo costume da vivandiera, tutto in velluto nero; il suo piedino aristocratico faceva mostra di tutta la sua eleganza, a causa della corta sottana; un piccolo rewolver le stava alla cintola... era insomma un bel tipo.
      - Voi qui? - Le dissi.
      - Mi credevate incapace di mantenere una promessa.
      - No... ma... e con chi siete?
      - Sono con i mobilizzati dell'Isere... non vedete, son vivandiera!
      - Mi rallegro con voi... E ci potremo vedere?
      - Chi sa... ora vi lascio!
      - Restate un pochino...
      - È impossibile... son là col mio... col mio... non so come chiamarlo... è geloso come una jena... A rivederci.
      Le strinsi la mano, e guardai questo... non so come chiamarlo... e vidi un capitano della guardia mobile, brutto come un brigadiere delle guardie di sicurezza o poco meno; piccolo e grasso come una botte. Capii la di lui gelosia... e lo compiansi: egli non era che un pas per tout per la avvenente fanciulla, che aveva trovato modo di distrarsi e di essere utile a quella società, dalla quale aveva ricevuto tanti sgarbi e alla quale aveva fino allora arrecati tanti danni.
      Avevo appena veduta questa vecchia conoscenza (dico vecchia perché una conoscenza di un mese in quegli eccezionali momenti si può dichiarare per antichissima) quando cominciò a cadere a larghi fiocchi la neve, e questa persistè ostinatamente fino alla sera: ci alzammo al mattino dipoi e continuava la poco aggradevole sinfonia: il neigait, il neigait, il neigait, proprio come nella ritirata di Russia, così ammirabilmente dipinta da Victor Hugo nei suoi Chatiments.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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