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      Arrivammo difatti in poco più di mezz'ora alle prime linee dei nostri; vedemmo il Generale e Canzio che, ritto in mezzo alla via, osservava tranquillamente col suo canocchiale le mosse del nemico: si distinguevano infatti in lontananza sopra una piccola spianata diversi cavalieri prussiani, (certo uno stato maggiore) e al principiare della foresta ogni tanto abbarbagliava la vista il luccichio di qualche fucile o baionetta: la fanteria prussiana doveva esser ricovrata là entro.
      Ci dissero di buttarci, come tutti gli altri, per terra: la cosa era un po' incomoda a causa del fango prodotto dalla neve che si sgelava, ma à la guerre comme à la guerre: quella non era l'ora certo di pretenderla a damerini. Cominciammo poco dopo a sentir fischiar delle palle, i nostri avamposti risposero... poi tutto finì e fu un silenzio lungo, ostinato fino sull'imbrunire: quella gente a cavallo che ci aveva colpito le vista, appena che eravamo arrivati, si era dileguata. Una guida di Ricciotti, il quale con tutta la sua brigata era alla nostra sinistra, si avanzò arditamente per esplorare, e venne ricevuta da una potentissima scarica: la credevamo morta, quando la vedemmo apparire trionfante, avendo perduto soltanto il cappello.
      Garibaldi tornò verso la città e noi lo seguimmo: i Genovesi rimasero d'avamposto fino al mattino dipoi.
      Quando rientrammo in Digione eravamo in uno stato compassionevole: impiastricciati di fango dalla punta dei capelli a quella degli stivali... eppure le belle donnine ci salutavano e ci sorridevano con grazia: la vezzosa fata che passava le sue giornate dalla tabaccaia ci volle offrire per forza dei sigari scelti, e ci mostrò con fierezza romana, una cappa d'incerato alla manica della quale faceva uno stacco molto sentito la fascia bianca colla croce rossa del soccorso ai feriti.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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