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      Passammo lì molte ore senza alcuna novella, quando ci fu detto che anche per quel giorno non eravi alcuna cosa di nuovo; ma che però, stessimo pronti per il domani che nel domani avremmo avuto una grande, una decisiva battaglia. Rossi, Piccini, gli altri nostri amici della Compagnia Genovese, ci confermarono l'esattezza di ciò che si sentiva e tutt'insieme giurammo di pigliare la sera una sbornia solenne, per rassomigliare almeno in qualche cosa a Leonida e ai suoi trecento spartani che, come ognuno sa, banchettarono allegramente prima di farsi incontro alle tremende falangi di Serse, dandosi appuntamento pel dì dopo all'inferno... e nessuno di loro mancò alla propria parola... Beati quei tempi!
      Sul mezzogiorno però a tutti i canti della città suonarono le trombe; i soldati furono in fretta e in furia mandati fuori della città... il cannone tuonava: questa volta ci si era davvero.
      Tutti si corse come un sol uomo, al palazzo della prefettura: là trovammo il nostro tenente Ricci - Si vuole andare - Gridammo a coro pieno - Andremo, rispose lui, anche senza arme, e poco dopo tutti ci movemmo, senza curarsi nemmeno di avere un fucile.
      Passammo dalla Porta sant'Apollinare dove trovammo Bordone con tutti i suoi ufficiali: prendemmo a passo di corsa un viottolo, desiosi di anticipare il momento, che anelavamo da sì gran tempo. Ad ogni minuto il rimbombo dell'artiglieria, rassembrava una voce potente che ci accusasse di essere lontani dal pericolo: i circostanti campi erano ghiacciati: ghiacciati i fossi che fiancheggiavano la via, eppure si sudava, eppure il cuore ci batteva forte forte nel petto e noi avevamo la lingua fuori.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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