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      Dopo poco ero a letto; a letto, con una tazza di tisana a me vicina sul comodino, apprestatami dalla mia gentilissima ospite.
     
     
     
      CAPITOLO XVIII.
     
      Se il trovarsi ammalato lontano dai suoi, in terra dove siamo sconosciuti, nella solitudine, che, a detta di Pascal, fa giocare persino alle carte con se medesimi, in generale è una disgrazia, godo nel dire che io feci eccezione alla regola. La solitudine che io temeva, non l'ebbi a provare che in qualche momento, gentili premure, assistenza più che fraterna, riguardi inconcepibili non mi fecer difetto ed io serberò riconoscenza indelebile per le generose creature che, ispirandosi al santo amor della patria e dell'umanità, con le loro attenzioni resero meno tristi le travagliate ore di un povero malato. Se questi miei ricordi varcassero le Alpi, io l'avrei caro soltanto per mostrare ai miei pietosi assistenti che sotto la camicia Rossa del Garibaldino non batte il cuore di un ingrato, ma che, finché campa, egli serba una soave reminiscenza di chi gli fece del bene.
      Appena da un'ora ero in letto, quando capitò la mia vaga vicina in perfetto abbigliamento da infermiera: andò al camminetto, attizzò il fuoco e mi preparò della nuova tisana; poi mi disse che più tardi avrebbe portato anche il medico, e cominciò a tirar fuori boccette d'essenze, scatole di pasticche e, quel che più m'importava dei libri... e che libri!... Le poesie di Alfredo di Musset e un paio di romanzi di Walter Scott; un libro è un grande amico nella solitudine ed io salutai quei libri con la medesima gioia con cui si salutano gli amici più cari.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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