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      Un grido immenso, un'urtarsi, un rovesciarsi addosso ai fasci di armi, una Babilonia insomma da far perder la testa.
      Ricciotti era vicino all'arco di trionfo, battendo i piedi e sbuffando: poco pił in lą un volontario consolava in Italiano un bel fior di ragazza che si struggeva in lacrime; a poca distanza una guida per smaltire il malumore si divertiva a pestare i calli, di alcuni mobilizzati che si erano sdraiati. Il cannone era cessato: la notte era fredda, ma tranquillissima; un bel chiaro di luna faceva spiccare sul fondo stellato, nel quale errava qua e lą qualche vagabonda nuvoletta bianca e diafana, le purissime linee della guglia di San Benigno... Le case non apparivano che incerte masse nere ad ora ad ora intramezzate da un lumicino, o dall'argenteo riflesso dei raggi ripercossi sui vetri: un chiarore confuso s'inalzava sui tetti.
      O Digione, o Digione come mi apparivi cara in quel tristo momento!... Come mi si strinse il cuore al pensiero di doverti lasciare! Il sangue generoso dei nostri compagni morti nelle fertili pianure che ti ricingono ti ha legata all'Italia!... Le gentilezze che tu facesti ai suoi cari, le cure assidue, pił che fraterne che hanno da te ricevuto i nostri feriti hanno a te legato l'Italia - Oh! venga il nemico - Io pensava tra me nell'esaltazione del dispiacere - venga e mi uccida qui, proprio sotto quest'arco... Oh! che io possa morire piuttostochč di accingermi a questa dipartita fatale, che mi fa sprezzare l'umanitą, che mi fa vergognare di essere uomo.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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