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      Erano passati pochi minuti, allorché un ufficiale ci notificò, che non ordine ma desiderio del nostro generale era quello che si andasse a riposare in città: tanto Garibaldi al contrario dei soliti generali pieni di boria ha carità, dei suoi sottoposti!
      Non vi sto a dire come questo desiderio corrispondesse al nostro, pure tutti noi ad una voce dicemmo che nessuno avrebbe abbandonato quel luogo, tenendosi tutti troppo onorati di mostrare al grande uomo, quanto fosse la nostra riconoscenza e il nostro rispetto per lui.
      - No, no - Ci ripetè l'ufficiale - Qui non vi è alcun pericolo: qui non vi è bisogno di guardie: Garibaldi si avrebbe molto per male, se voi non lo secondaste.
      E allora?.... Via a rotta di collo in paese.
     
     
     
      CAPITOLO XXIV.
     
      Tutto era calmo: il rumore dei nostri squadroni e dei nostri sproni turbava soltanto il sepolcrale silenzio in cui erano avvolte le poche vie di Chagny: nella quiete quasi lugubre di quella serata a mille doppi sembrava più potente il rumore prodotto da noi, e ripercosso dall'eco: s'illuminò qualche finestra, ma per pochi minuti: il pacifico cittadino, rassicurato che non vi era nulla a temere, spengeva il lume e tornava di certo a gustare il calduccio delle coltri, quel calduccino che io cominciava a vagheggiare come un sogno irrealizzabile.
      Con molta fatica si perviene a trovare la Mairie: meno male che le finestre sono illuminate. I nostri capi, riflettiamo fra noi, avranno telegrafato, e gli alloggi saranno già pronti. Le nostre induzioni erano, come d'ordinario, falsissime.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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