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      Fatte alla peggio queste mie scuse, ritorno al racconto che, grazie al cielo, è quasi giunto al suo termine.
      Macon è il capoluogo del dipartimento di Sâone et Loire; in tempi di pace è celebre per il buffet della stazione e per le mode originali delle sue donne del popolo; in tempo di guerra noi vi trovammo delle gentilissime signore che rivolgevano ogni cura per alleviare i feriti e per recar conforto ai soldati di passaggio: in tempo d'armistizio, come ci si capitava ora, non rinvenimmo che di bei caffè, delle donne eleganti e un giornale Buonapartista ad oltranza, che ci screditava facendo di noi certe biografie imposibili, piene di una filza di menzogne.
      Non sto a dire qual folla di gente invadessero i pacifici uffizi della Mairie, appena noi fummo arrivati. Il Maire protestava sbuffava, sudava: tutti volevano esser serviti alla prima ed egli non serviva nessuno: per temperamento fu deciso di dare solamente i biglietti d'alloggio agli ufficiali: mi fo prestare il berretto al tenente Mussi e in poco tempo non che con uno mi trovo con quattro biglietti in saccoccia. Il primo di questi era per un marchese, il secondo per un droghiere, il terzo per un macchinista della ferrovia. Preferii quest'ultimo: piccato ad osservare, volevo conoscere intimamente i sentimenti del popolo e di più provavo il bisogno di ritemprar la mia anima in una atmosfera serena, in quella calma che sempre si trova nel tugurio del povero, quasi mai nella dorata magione del ricco Nababbo.
      Nè mal mi era apposto: una fanciulla dall'aria ingenua, dal vestitino d'indiana mi ricevè con aria franca, poi l'andò a chiamare la mamma: questa era una vecchiarella che si perse in inchini, che mi sgranò in faccia due occhioni grossi come pan tondi quando seppe che io era nato in Italia e che per andare da Macon ai confini d'Italia ci erano più di duecento miglia: le due donne mi prepararono una cameretta pulita, modesta, degna di accogliere una vergine: non so perché, ma quell'aria mi purificava, e non trovavo verso di staccarmi da quelle due donnicciole che parlavano il linguaggio dell'ignoranza, l'unico che si parte veramente dal cuore.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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