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      Essa ci ricorda l'universalismo dell'antica Roma, meno la sua forma astratta. Questa natura potente, varia, complicata, esige per formarsi un lungo e difficile lavoro. Essa ha a lottare non solo con gli altri popoli, ma con se stessa. Per essere davvero, essa deve superare se medesima. Così non è senza ragione, se l'Italia è venuta l'ultima ad assidersi nel convito delle nazioni, e se deve ancora lottare per essere signora di sè.
      Questa spontaneità complicata e universale del genio italiano e insieme questa difficoltà nel formarsi si manifestano in tutta la storia del nostro intelletto. L'Italia apre le porte della civiltà moderna con una falange di eroi del pensiero. Pomponazzi, Telesio, Bruno, Vanini, Campanella, Cesalpino, paiono figli di più nazioni. Essi preludono più o meno a tutti gli indirizzi posteriori, che costituiscono il periodo della filosofia da Cartesio a Kant. Così Bacone e Locke hanno i loro precursori in Telesio e Campanella, Cartesio nello stesso Campanella, Spinoza in Bruno, e nello stesso Bruno si trova un po' del monadismo di Leibniz, dell'avversario di Spinoza. Finalmente Vico scopre la nuova scienza; anticipa il problema del conoscere, esigendo una nuova metafisica che proceda sulle umane idee; pone il vero concetto della parola e del mito, e così fonda la filologia; intuisce l'idea dello spirito, e così crea la filosofia della storia. Vico è il vero precursore di tutta l'Alemagna. Ho detto il precursore, e avrei dovuto dire di più, giacchè Vico aspetta ancora chi lo scopra davvero.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





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