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      Così la relazione tra i contrarii non è più negativa come in Platone, nel quale l'uno è l'essere, e l'altro il non essere. Ma è positiva: l'uno è l'essere attuale, l'altro l'essere possibile. Questa relazione positiva, questo uno essere, sotto i due aspetti della possibilità e dell'attualità, è il punto della unione aristotelico. Aristotele dunque, procedendo da' contrarii, trova il punto della unione.
      Ma lo trova davvero?
      Bruno ha detto già, che non lo ha trovato; che "non conosce l'Ente come Uno, per non aver profondato alla cognizione di questa" (la sua) "unità e indifferenza della costante natura ed essere".
      Ora dice, che non ha saputo trarre il contrario; che, al più, si è arrestato al genere dell'opposizione, ma non è disceso sino alla specie della contrarietà.
      La seconda critica è il compimento della prima. Aristotele non ha concepito l'Ente come Uno, perchè non l'ha concepita come assoluta indifferenza; e non l'ha concepito come assoluta indifferenza, perchè non l'ha concepito come coincidenza diei contrarii. Bruno, seguendo il Cusano, dice di concepirlo così: questo essere il suo vantaggio sopra Aristotele. In realtà, questa indifferenza non è che la conseguenza esplicita della posizione aristotelica; giacchè quella relazione positiva, quell'uno stesso essere sotto due aspetti, non è che l'essere indifferente. Ma non basta, - ecco la seconda critica, - dire: l'essere indifferente. Perchè questo sia un vero concetto, e non già un semplice presupposto; perchè sia veramente l'essere indifferente, bisogna trarre da esso il contrario, non presupporlo; cioè, nel caso di Aristotele, non presupporre, ma derivare i due principii, forma e materia.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





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