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      Così comprese la unità - il conoscere - come semplice risultato: come risultato di questa applicazione. Ovvero, se la comprese come principio, la identificò come principio colla semplice categoria, quale attività unificatrice del vario della intuizione dato fuori della unità stessa e non prodotto da essa. L'unità kantiana non era, dunque, ciò che esigeva il suo stesso concetto, cioè assolutamente fare (Sviluppo); ma parzialmente fare, cioè ancora un fatto. Era fare, in quanto l'Io penso, la categoria, come attività unificatrice, movendo da sè, cioè spontaneamente, apprendeva il molteplice della intuizione e lo riduceva a se stesso: se lo assimilava, lo faceva suo, cioè uno, e così era movimento da sè a sè, relazione verso se stesso. Era fatto, in quanto l'Io penso, la categoria come attività unificatrice, non era la unità sintetica originaria che produce se stessa, ma solo un elemento di questa attività, come un dato, e quindi un presupposto; e il molteplice della intuizione similmente non era il prodotto della unità originaria sintetica, ma anche un dato, fuori dell'unità unificatrice, cioè dell'intelletto, e quindi anche un presupposto.
      Così senso e intelletto, intuizione e concetto sono nel kantismo di nuovo separati, e accade qui quello stesso che abbiamo osservato della Unità cartesiana: pensare è essere. Pensare ed essere, appunto perchè immediatamente uno, non erano veramente uno; si separavano, e si avea il pensare come pensare, e il pensare come essere (il concetto e la percezione). Ma la categoria e la intuizione kantiana non sono più il concetto e la percezione, quali risultano dal principio di Cartesio; sono altro di più, appunto perchè l'unità kantiana è altro, in sè, più che la cartesiana.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





Sviluppo Unità Cartesio