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      Se la potenza è infinita, la realtà è assolutamente conoscibile; e perciò la realtà cosciente è davvero più della semplice realtà. Dire che vi ha un reale che non si conosce, è dire che lo spirito è meno della natura; l'essere e sapere, meno dell'essere e non sapere. Il risultato della breve storia che abbiamo fatta è questo: la possibilità del conoscere è la potenza assoluta di conoscere: la realtà assolutamente conoscibile, trasparente: cioè la Ragione (idealità oggettiva) conscia di se. Questa storia è in sè il ritorno del conoscere (del fatto del conoscere) alla possibilità del conoscere: è, direi quasi, la teorica del conoscere, come storia delle teoriche del conoscere.
      La teorica del conoscere è in sè d'accordo colla storia? Non è qui il luogo di risolvere questa quistione. Io ritorno a Gioberti.
      Gioberti dicendo: "Senza l'intuito originario ogni conoscere (ogni atto conoscitivo) è impossibile; l'intuito è la potenza del conoscere, e il conoscibile, cioè l'oggetto in sè dell'intuito, è tutto il conoscibile, l'assolutamente conoscibile, l'Idea, l'Ente creante; cioè, la realtà assoluta, non come semplice realtà, ma come compenetrazione assoluta di se stessa, come realtà cosciente assoluta, come Spirito assoluto"; dicendo ciò, Gioberti viene a dire: la nostra potenza del conoscere è infinita; è in sè tutta la realtà come compenetrazione di se stessa, come perfetta trasparenza; e se la potenza non fosse infinita, l'atto - qualunque atto - del conoscere non sarebbe possibile.
      Ciò vuol dire, che se noi non avessimo la potenza di conoscer tutto, non conosceremmo di fatto niente.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





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