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      La necessità di parlare a sua moglie dell’affare divisato nel suo colloquio col mercante, era un peso ben grave per lui, perché prevedeva le obiezioni e la resistenza ch’era certo d’incontrare.
      La signora Shelby, ignorando totalmente le difficoltà in cui versava il marito, e conoscendone la bontà di cuore, era sincerissima nell’incredulità con cui rispose ai sospetti di Elisa. Per cui non tardò a dimenticarli, e più non pensò che ai preparativi d’una visita che stava per fare.
     
     
      II.
     
      LA MADRE.
     
     
      Fin dall’infanzia, Elisa era stata allevata dalla sua padrona con una certa parzialità, come il cucco di casa.
      Chiunque abbia viaggiato nel Sud poté scorgere il fare squisito, la dolcezza dei modi e del linguaggio che sono la precipua dote delle meticce e delle mulatte. Le grazie naturali vanno spesso unite, nelle prime, alla più rara bellezza, quasi sempre a leggiadre forme.
      Elisa non è una figura immaginaria; noi l’abbiamo dipinta quale la vedemmo nel Kentucky or sono alcuni anni. Oggetto delle vigili cure della sua padrona, essa cresceva lungi dalle tentazioni che fanno della bellezza un retaggio sì funesto per la schiava. Fu maritata ad un giovane mulatto, bello e intelligente, schiavo in una vicina piantagione.
      Questo giovane, dato a nolo dal suo padrone ad un fabbricante di sacelli, aveva mostrato nel suo lavoro una intelligenza ed una abilità che lo facevano considerare da tutti come il miglior lavorante della fabbrica. Egli aveva inoltre inventato una macchina per purgar la canapa, cosa invero straordinaria, ove si consideri la nascita e l’educazione dell’inventore.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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