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      — Mio padrone!... E con qual diritto è mio padrone? Ecco ciò che domando a me stesso. Quali sono i suoi diritti sopra di me? Non sono un uomo al pari di lui? Io valgo più di lui: m’intendo meglio di affari, sono più abile amministratore, e leggo e scrivo meglio di lui. E non gli devo niente: tutto ciò l’ho compreso da me, senza lui, a dispetto di lui. Dunque, con qual diritto mi adopera come una bestia da soma? Con qual diritto mi toglie da occupazioni alle quali io son atto più di quanto egli non sia, per condannarmi alle fatiche di un cavallo?... Egli pretende umiliarmi, dice, e a questo intento si diletta di caricarmi dei lavori più aspri e più vili.
      — Giorgio, tu mi atterrisci! Non ti ho mai udito parlare a questo modo. Io temo che tu ti lasci trarre a qualche cosa di terribile. Comprendo i sentimenti tuoi; ma sii prudente, te ne supplico, per l’amore che mi hai, per amor del nostro Enrico!
      — Fui prudente, fui paziente; ma le cose vanno ogni giorno peggiorando. Egli spia tutte le occasioni per insultarmi e avvilirmi. Credevo di poter fare il mio lavoro, e trovar poi qualche momento di posa da dedicare alla lettura e allo studio. Ma più egli vede che io posso fare, e più mi carica. Benché io non proferisca mai parola, egli pretende che io sia posseduto dal demonio, e dice di volerlo scacciare da me; ma badi bene! Uno di questi giorni esso n’uscirà in guisa che non gli piacerà molto, o io m’inganno forte.
      — Ahimè, ahimè! Che sarà di noi? — esclamò dolorosamente Elisa.
      — Ieri appunto io caricavo una carretta di pietre, e suo figlio stava colà facendo fischiare la frusta sì presso alle orecchie del cavallo, che la bestia se ne inquietava.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Enrico Elisa