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      Ah, quando penso ad alcuno de’ molti bei pranzi da noi fatti! Vi rammentate di quel grosso pasticcio di selvaggina che feci quando avemmo a pranzo in casa nostra il generale Knox? La signora ed io fummo a un pelo di attaccar lite a proposito della crosta. Io non so di che s’impicciano talvolta le signore! Ma appunto quando una poveretta è oppressa sotto il peso del suo amor proprio, quando sta con tutta la mente al suo dovere, esse vengono a volteggiarvi intorno e si brigano di ciò che non le riguarda. Ebbene, quel giorno la signora voleva che io facessi la tal cosa, che facessi la tal’altra, tanto che alla fine io mi lasciai sfuggire un’impertinenza.
      «— Ma, signora, — le dissi — fatemi la grazia di guardarvi le belle manine bianche, e quelle dita leggiadre tutte risplendenti di anelli, e poi guardate, ve ne prego, le mie nere zampacce. Ora non è evidente che Dio destinò me in cucina a far croste di pasticci, e voi a rimanervene in sala a ricever visite?—
      «Sì, caro padroncino Giorgio, io l’ebbi l’impudenza di dirle questo.
      — E la mamma che rispose?
      — Che rispose? Mi parve di scorgere un sorrisetto in quei grandi e belli occhi suoi, e mi disse:
      «— Bene, bene, zia Cloe, avete forse ragione! —
      «E se ne tornò in sala. Avrebbe dovuto farmi frustare per la mia impertinenza; ma che volete? Le signore son d’impaccio alla cucina.
      — Quel pranzo, ben me ne ricordo, vi riuscì maravigliosamente, e tutti ne parlavano.
      — Eh, non è vero? Ed io che mi tenevo dietro l’uscio della sala da pranzo, vidi il generale ridomandare per ben tre volte di quel medesimo pasticcio.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Knox Dio Giorgio Cloe