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      Elisa pose allora in terra il fanciullo, e, rassettandogli le vesti e la berretta, camminò tanto lesta, quanto poteva fare senza dar troppo nell’occhio. Non aveva dimenticato di porre in un fagottino mele e focacce, che le erano d’aiuto per affrettare i passi del bimbo, rotolando essa le mele dinanzi a lui fino a qualche distanza, di mano in mano che egli correva loro appresso con tutte le sue forze. Con tale astuzia, sovente ripetuta, percorsero più di mezzo miglio.
      Entrarono quindi in un fitto bosco attraverso il quale mormorava un limpido ruscello. Siccome il fanciullo si lagnava di aver fame e sete, ella scavalcò la siepe e, seduta dietro un masso che la nascondeva agli occhi dei passanti, gli diede una colazione tolta dalle sue provvisioncelle.
      Il bambino voleva che essa pure mangiasse; ma quando, mettendole intorno al collo le braccia, tentò d’introdurle in bocca un pezzetto della sua focaccia, ella si sentì venir meno il respiro e credette d’esser sul punto di affogare.
      — No, no, Enrico, dolce amor mio; la mamma non può mangiare fino a che non ti ha recato in salvo. Bisogna che andiamo innanzi, innanzi, finché giungeremo in riva al fiume. —
      E si ripose in cammino, sforzandosi di andar oltre con passo misurato e composto.
      Aveva passato già di parecchie miglia tutti i dintorni dove poteva essere riconosciuta. Pensava per altro che se pure facesse qualche incontro, la fama di bontà della famiglia Shelby renderebbe impossibile la supposizione che ella ne fosse fuggita.
      E siccome tanto lei che il fanciulletto erano di carnagione prossima al bianco, tanto da poter sfuggire al sospetto di appartenere ad una razza di colore, salvo un attento esame, le riusciva più facile passar oltre senza essere osservata.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Enrico Shelby