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      Era già quasi notte allorché Elisa si trovò sull’altra sponda dell’Ohio. La nebbia della sera, inalzandosi lentamente dalla superficie delle acque, l’avviluppava sempre più di mano in mano ch’ella andava allontanandosi dalla riva, e il fiume gonfio, le masse galleggianti di ghiaccio, mettevano tra il suo persecutore e lei una barriera insormontabile.
      Haley se ne tornò dunque passo passo alla piccola locanda per quivi riflettere su quel che aveva da fare. La donna gli aprì la porta di un salottino, parato d’una tappezzeria comune. Nel mezzo del salottino vedovasi una tavola coperta di tela incerata, e intorno alla tavola eranvi delle sedie di legno dall’alta spalliera e dai piedi lunghi e sottili; sopra il camino, entro cui fumava, un fuoco a metà spento, alcune figurine di gesso facevan mostra dei loro sfarzosi colori, e una panca piuttosto incomoda si stendeva lungo il focolare.
      Ivi appunto Haley andò a sedersi al fine di meditare sulla instabilità delle speranze umane e sulla felicità in generale.
      — Che bisogno avevo di quel piccolo mariuolo, — diss’egli a se medesimo — perché mi lasciassi corbellare a questo modo?
      Ed Haley procurava di consolarsi rivolgendo a se stesso una filza d’imprecazioni, ben meritate a parer nostro, ma che, per non offender le orecchie dei nostri lettori, ci asterremo dal riferire.
      Nel tempo ch’egli si abbandonava a così gradevole occupazione, la grossa voce dissonante di un uomo che, a quanto sembrava, era disceso in quel punto medesimo da cavallo alla porta dell’osteria, lo riscosse profondamente.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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