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      Invano egli ridiceva a se stesso che era nel proprio diritto, che ognuno, al suo posto, avrebbe fatto la stessa cosa, e molti anche senza la scusa della necessità: non gli riusciva di far tacere quell’interna voce, e, solo per schermirsi dall’ingrata vista della partenza, aveva scelto quel momento per una gita di affari, sperando che al suo ritorno sarebbe finito ogni cosa.
      Il carro traeva i due viaggiatori sulla strada polverosa, e Tom vide fuggir dietro a sé ad uno ad uno tutti i luoghi che aveva tante volte frequentati. In breve, passati gli estremi confini della piantagione, si trovarono sulla strada maestra. Dopo la corsa di un miglio circa, Haley si fermò dinanzi alla bottega di un fabbro, e vi entrò per far eseguire alcuni cambiamenti alle manette che aveva portate seco.
      — Sono un po’ troppo piccole per quest’omaccione, — disse il fabbro accennando Tom. Poi, guardandolo, soggiunse:
      — Signore Iddio! Non è questo il Tom di Shelby? Non lo avrà venduto, spero?
      — Ma sì, sì, venduto! — rispose Haley.
      — Come può essere una tal cosa? Oh, chi avrebbe mai potuto immaginarlo! Però vi accerto che non c’è bisogno d’incatenarlo a questo modo. Egli è il più fedele ed il più onesto servo che io conosca.
      — Sarà vero, — disse Haley — ma appunto coi nostri bravi uomini bisogna stare sull’avviso! Gli stupidi, i neghittosi, gli ubriaconi, son mercé di cui si può fare a palla senza che se ne adontino; anzi, il più delle volte ci hanno gusto: ma questi negri di prima qualità aborrono i cambiamenti come il peccato.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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