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      .. — disse Wilson come chi parla in sogno.
      Nell’istante medesimo un negro entrò annunziando che la camera del signore era pronta.
      — Gim, bada alle valigie, — disse il gentleman con una certa trascuratezza; poi rivoltosi al signor Wilson soggiunse: — Io dovrei, signore, aver con voi, se non v’incresce, un breve colloquio nella mia camera circa un affare. —
      Il signor Wilson lo seguì come un sonnambulo, ed entrambi entrarono in una camera dove scoppiettava un bel fuoco testé acceso, e dove ancora si affaccendavano alcuni negri dando l’ultima mano per mettere in ordine le cose.
      Finita ogni faccenda e ritiratisi i servi, il giovane serrò pian piano l’uscio, si pose la chiave in tasca, e incrociando le braccia al petto guardò in volto il signor Wilson.
      — Giorgio! — disse il signor Wilson.
      — Sì, Giorgio stesso, — rispose il giovane.
      — Oh, non me lo sarei mai immaginato!
      — Vi pare che io sia ben travestito? — disse il giovane sorridendo. — Un po’ di scorza di noce mutò la mia pelle giallognola in una gentil pelle brunetta, e mi tinsi di nero i capelli. Perciò, come vedete, io non ho la minima rassomiglianza col ritratto che di me si fa nell’avviso.
      — Oh, Giorgio! È troppo pericoloso il giuoco che voi state giocando. Io non vi avrei consigliato ad un tal passo.
      — Ebbene, io solo ne porterò tutta la responsabilità, — disse Giorgio sorridendo con la medesima calma.
      Notiamo qui brevemente che Giorgio era, per parte di suo padre, di razza bianca. La madre sua era stata una di quelle creature infelici destinate dalla loro bellezza ad una schiavitù peggiore d’ogni altra nella casa a cui appartengono.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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