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      Il rotondetto e roseo volto di lei spirava la placidezza di un senno maturo; i suoi capelli inargentati in parte dagli anni si dividevano semplicemente sopra un’alta e beata fronte su cui il tempo non aveva lasciato altra iscrizione se non questa: «Pace sulla terra agli uomini di buona volontà» e sotto cui scintillavano due grandi occhi neri, ingenui ed affettuosi.
      Al solo guardare in quegli occhi, si sentiva che erano l’espressione del più puro e schietto cuore che mai battesse nel seno di una donna. Discorsi e canti innumerevoli hanno celebrato le donne belle e giovani. Perché niuno ancora cantò la bellezza delle donne mature?
      Se c’è qualcuno che cerchi d’ispirarsi su tale argomento, lo esortiamo a venire a contemplare la nostra buona Rachele Halliday, che se ne sta ora qui seduta sopra una poltrona. Fosse la conseguenza d’un reuma preso in gioventù, o affezione asmatica, o contrazione di nervi, la detta poltrona aveva una gran facilità di cigolare e stridere, e quando Rachele vi si dondolava, quella poltrona metteva certe note acute, che sarebbero state intollerabili in ogni altra poltrona.
      Ma il vecchio Simeone Halliday diceva che quel cigolio era per lui una musica, e i ragazzi andavano ripetendo che non avrebbero voluto per nulla al mondo rimaner privi del diletto di sentir lo scricchiolare della poltrona della mamma.
      Perché?
      Perché eran più di vent’anni che partivano da quella poltrona veneranda, come da un pergamo, le parole d’amore, i dolci ammonimenti. Molte e molte pene dell’anima e del corpo erano state guarite, molte difficoltà spirituali e temporali erano state risolte da colei che la occupava, da quella amorevole donna soltanto.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Rachele Halliday Rachele Simeone Halliday