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      Quando vedeva di non aver da far nulla, si ritirava in una specie di nicchia, da lui formatasi tra le balle di cotone, per studiarvi la sua Bibbia.
      E quivi appunto ora lo troviamo.
      Cento miglia prima di arrivare alla Nuova Orléans il fiume ha un livello più alto delle terre che attraversa, e volge la massa furiosa delle sue acque fra immensi argini dell’altezza di venti piedi.
      Il viaggiatore, in piedi sulla tolda, signoreggia con lo sguardo tutto quanto il paese, come dalla sommità di un castello galleggiante. Tom poteva scorgere dunque nelle piantagioni della riva un’immagine della vita che gli era serbata. Discerneva da lungi gli schiavi al lavoro; vedeva le lunghe file di capanne dove essi abitano stendersi lontano dal palazzo del padrone, e mentre quella scena sì svariata passava dinanzi a lui, il suo povero cuore troppo debole si volgeva verso le piantagioni del Kentucky, all’ombra degli antichi faggi, verso la casa del signor Shelby coi freschi ed ampi portici, e lì vicino la sua capanna tutta coperta di rosai e begonie.
      Gli sembrava di vedere i noti volti dei suoi compagni cresciuti con lui fin dall’infanzia, sua moglie tutta intenta a preparar la cena, udiva gli scrosci di risa dei suoi figliuoli e il bisbigliar della sua fantolina ritta sulle sue ginocchia. Ma un tratto svaniva ogni cara immagine, e gli tornavano dinanzi le piantagioni di canne di zucchero, e udiva l’alto fragore delle macchine del battello, e tutto gli diceva purtroppo che il tempo felice era irreparabilmente trascorso.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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