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      La fanciulla era ritrosetta, benché fosse spinta ad immischiarsi in tutte le cose, e non restava facile addomesticarla.
      Nei primi giorni, appollaiata come un canarino sopra una balla di merci, essa guardava in silenzio Tom lavorare, né accettava i suoi doni; ma in breve si formò tra loro una perfetta confidenza reciproca.
      — Come vi chiamate, damigella? — le domandò egli quando gli parve di potersi arrischiare tanto oltre.
      — Evangelina Saint-Clare; — rispose la fanciulletta — ma il babbo e tutti gli altri mi chiamano Eva. E voi, come vi chiamate?
      — Il mio nome è Tom, ma nel Kentucky solevano chiamarmi zio Tom.
      — Ebbene, vi chiamerò anch’io zio Tom, perché vi voglio bene. Ditemi un poco, dove andate ora, zio Tom?
      — Non so, madamigella Eva.
      — Non lo sapete?
      — No. Sarò forse venduto a qualcuno; ma ignoro a chi.
      — Il mio babbo potrebbe dunque comperarvi; — disse vivamente Eva — e se vi compra sarete contento, ve l’assicuro. Fin d’oggi io lo pregherò.
      — Ve ne sono ben grato, madamigella! —
      Il piroscafo si fermò per provvedersi di legna.
      Evangelina udì la voce di suo padre, e gli corse incontro. Tom andò ad offrire i propri servigi a coloro che caricavano legna, e fu tutto affaccendato in quel lavoro.
      Evangelina e suo padre, appoggiati al parapetto, osservavano come il piroscafo prendeva le mosse dalla riva; già la ruota aveva fatto due o tre giri, quando un piede messo in fallo fece perdere l’equilibrio alla fanciulla, che cadde nel fiume. Il padre suo, non sapendo più che cosa si facesse, stava per lanciarsele dietro; ma qualcuno lo trattenne, visto che un soccorso più efficace era dato alla piccina.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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