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      La ragazza ch’egli aveva tanto amata gli raccontava quanto essa avesse sofferto. Perseguitata dal suo tutore, il cui figlio desiderava la sua mano, e vedendo che le sue lettere rimanevano senza risposta, il dubbio e il dolore avevano dato il tracollo alla sua salute; ma finalmente essa aveva scoperto la frode di cui era stata lungamente vittima, e gli scriveva quella lettera, piena di espressioni di speranza, di gratitudine, e di proteste d’inalterabile affetto, le quali al cuore di Agostino sonavano più amare della morte.
      Egli le rispose subito:
      «Ho ricevuto la vostra lettera, ma troppo tardi. Io vi credevo infedele, e la disperazione mi s’era cacciata nell’anima. Oggi io sono ammogliato; tutto è finito. L’oblio soltanto, ecco tutto quel che resta a me ed a voi.»
      E così ebbe termine il romanzo, il sogno di Agostino Saint-Clare; in tal modo si dileguò l’ideale della sua vita.
      Ma la realtà rimase, la realtà, simile a una spiaggia deserta, fangosa, uniforme da quando il riflusso della marea ne ritirò le onde azzurrine ingemmate di tremula luce, popolate di fugaci barchette, sparse di alati navigli, armoniose d’aure e di flutti che scherzano insieme e di remi che si tuffano in cadenza.
      Nei romanzi, di solito, il cuore degli amanti si spezza, la morte sopravviene, e la loro storia finisce: cosa in verità molto comoda. Ma nella vita reale non si muore, neppur quando vediamo perire intorno a noi tutto quello che ci rende cara la vita. Siamo costretti a bere, a mangiare, a vestirci, a far visite, a vendere, a comprare, a parlare, a leggere; a compiere insomma tutte quelle occupazioni quotidiane e monotone che formano appunto la vita reale.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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