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      Giorgio lasciò andare il colpo.
      La palla si addentrò nel fianco di Loker, il quale, sebbene ferito, non volle indietreggiare, ma con un fiero grido simile al muggito di un toro furibondo, saltò per precipitarsi in mezzo agli assediati.
      — Amico, — disse Finea facendo un rapido passo avanti e dandogli una spinta con le lunghe sue braccia — qui non c’è bisogno di te. —
      Tom rotolò giù nel burrone fra sterpi, alberi, cespugli e pietre divelta, finché giacque, tutto pesto e sanguinante, a una profondità di trenta piedi. La caduta lo avrebbe ucciso, se non fosse stata resa meno rapida dai rami d’un albero a cui le sue vesti s’impigliarono. Ma ad ogni modo egli percosse il fondo più duramente che non avrebbe desiderato.
      — Dio ci scampi! Sono veri diavoli! — disse Marks, dirigendo la ritirata giù per le rupi con maggior alacrità che non aveva messa nell’ascendere, mentre tutta quell’accozzaglia si precipitava dietro a lui confusamente.
      — Compagni, — disse Marks — andate ora voialtri a raccogliere quel povero Tom laggiù, mentre io monto a cavallo e corro a chiedere aiuto. —
      E senza prendersi briga delle fischiate e delle beffe dei suoi complici, Marks salì in arcione, e via di galoppo.
      — Si è mai veduto un codardo simile? — disse uno di quegli uomini. — Implicarci in questa maledetta faccenda, e poi gettarcela sulle spalle e fuggire.
      — Intanto bisogna che andiamo a raccogliere l’amico; — disse un altro — sia morto o vivo, ch’io arrabbi se me ne importa un fico! —
      Guidati dai gemiti di Loker, i suoi compagni pervennero, strisciando fra le prunaie e i cespugli, al luogo dove giaceva l’eroe, tutto pesto, urlando e bestemmiando con egual veemenza.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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