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      — Eh, non gridate sì forte, Tom! — disse uno di loro, — Siete ferito gravemente?
      — O che lo so, io? Maledetto quell’indemoniato quacquero! Aiutatemi un po’ a mettermi in piedi. Se non era costui, ne avrei spinto qualcuno in questo fondo, per vedere come vi si sarebbe adagiato. —
      Con grandi sforzi e gemiti, l’eroe caduto pervenne a rialzarsi sulle gambe, e, condotto da due compagni che lo sostenevano sotto le ascelle, poté giungere al luogo dov’erano i cavalli.
      — Almeno vi riuscisse di condurrai laggiù a quell’osteria! Datemi un fazzoletto o altro per turar la piaga e fermare questo diabolico salasso. —
      Giorgio si protese a guardare, e li vide che cercavano di porre in sella il grosso corpo di Loker.
      Dopo due o tre inutili prove, quegli barcollò e diede uno stramazzone per terra.
      — Oh, io spero che non sia morto! — esclamò Elisa che stava osservando ogni cosa dall’alto.
      — Perché no? — disse Finea. — Avrebbe avuto la sorte degna delle opere sue.
      — Ma dopo la morte viene il giudizio, — replicò Elisa.
      — Sì, — entrò a dire la madre di Gim, la quale durante tutta quella scena non aveva cessato di gemere e di pregare alla sua guisa da metodista — è un istante assai terribile per la sua povera anima!
      — In fede mia, ecco che lo abbandonano! — disse Finea.
      Ed era la verità. Dopo avere ansiosamente parlato fra loro, consultandosi, quegli uomini si riposero tutti in sella e si allontanarono velocemente.
      Quando furono scomparsi, Finea si ridiede moto.
      — Bisogna scendere, — diss’egli — e fare a piedi un tratto di strada.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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