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      — Per amor di Dio! Uditelo, povera creatura! Ha una madre anch’egli, — disse la vecchia negra. — Non posso fare a meno di provarne compassione.
      — Adagio, adagio; non è il momento questo di ringhiare né di mordere; — disse Finea a Tom che si dibatteva e lo respingeva coi calci e coi pugni — tu sei spacciato, se non ti fo ristagnare il sangue. —
      E Finea si affrettò a fare una prima medicatura col suo fazzoletto da naso e con quanto poté raccogliere dagli altri.
      — Voi siete quello che mi ha gettato quaggiù, — disse Loker con voce semispenta.
      — È vero: ma se io non ti prevenivo, avresti fatto fare a noi il salto medesimo, — replicò Finea abbassandosi per fare la fasciatura. — Sta’ fermo, e lascia che io ti medichi; noi non ti vogliamo alcun male, né ti serbiamo rancore. Tu sarai trasportato in una casa dove avranno ogni cura di te, come potrebbe fare tua madre stessa. —
      Tom Loker mandò un gemito e chiuse gli occhi.
      Negli uomini della sua specie, il vigore e la risolutezza non sono se non una parte della costituzione fisica, e vengono meno con l’uscire del sangue. Lo stato di abbattimento in cui era quel colosso, offriva uno spettacolo compassionevole.
      L’altra comitiva sopraggiunse.
      Furono tolti i sedili dalla carretta, distese da una parte le pelli di bufalo, e quattro uomini, a grande stento, sollevarono il ferito e ve lo deposero. Prima però che vi fosse collocato, egli cadde in deliquio.
      La vecchia negra, nell’eccesso della commiserazione, sedette in fondo al carro e appoggiò la testa di lui sopra le sue ginocchia.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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