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      Suppongo che questo scoraggiamento fosse in me come in lui l’effetto naturale della saggezza: comunque fosse, invece di farmi rigeneratore della società, divenni come un pezzo di legno galleggiante sull’acqua, sbattuto e trascinato. Alfredo mi sgrida ogni volta che c’incontriamo, ed io non saprei che rispondergli, lo confesso; poiché egli è migliore di me: egli fa almeno qualche cosa; la vita che mena è il risultato logico delle sue opinioni, mentre la mia non è altro che una vita negativa ed incoerente.
      — Mio caro cugino, potete essere sodisfatto di un’esistenza così inoperosa?
      — Sodisfatto! Non v’ho detto anch’io che la detesto?... Ma, per ritornare alla questione... noi stavamo discorrendo della liberazione degli schiavi. Io sono certo che questa maniera di considerare la schiavitù, non è soltanto mia. Conosco moltissimi uomini che nel loro cuore pensano al pari di me. Il paese geme e s’agita sotto il peso di questa iniquità spaventosa; e se lo schiavo ne piange, il padrone in verità non ne ride. Non c’è bisogno di troppa perspicacia per vedere che i vizi, l’infingardaggine e il degradamento di un’intera classe della nostra popolazione, sono egualmente funesti a quella e a noi. Il capitalista e l’aristocratico inglese non possono sentir ciò al pari di noi, perché essi non vivono a contatto con la classe da loro degradata. Gli schiavi nostri vivono nelle nostre case, sono i compagni dei nostri figli, ne formano gli animi più presto che a noi non sia dato di farlo, perché i fanciulli si trattengono assai più volentieri con essi.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624