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      La piccola scimmia ascoltò quei commenti con un’aria di malinconia e di rassegnazione che pareva esserle abituale; solamente, di quando in quando gettava occhiate furtive agli ornamenti che Giovanna portava alle orecchie.
      Quando fu rapata, lavata e decentemente vestita, miss Ofelia dichiarò con una certa sodisfazione che essa aveva l’aspetto un po’ più da cristiano di prima, e nella sua mente si diede a maturare qualche disegno per la sua educazione.
      Postasi a sedere innanzi a lei, cominciò a interrogarla:
      — Quanti anni hai, Topsy?
      — Non lo so, padrona, — rispose ella, facendo una smorfia che lasciò vedere tutti i suoi denti.
      — Non sai la tua età? Nessuno mai te la disse? Chi era tua madre?
      — Non ne ebbi mai, — disse la fanciulla rinnovando la sua smorfia.
      — Come non avesti madre? Che vuoi dire? Dove nascesti?
      — Io non sono mai nata, — diss’ella, con la sua solita smorfia.
      E la sua espressione era così fantastica, che se miss Ofelia avesse patito di sentimentalismo, avrebbe potuto credere di trovarsi dinanzi uno gnomo venuto dal paese degli stregoni. Ma Ofelia era donna positiva, né si lasciò allucinare.
      — Non si deve rispondere in questo modo, bambina; io non scherzo. Orsù, dimmi dove nascesti e chi erano tuo padre e tua madre.
      — Io non sono mai nata, — replicò la povera creatura più enfaticamente — e non ho mai avuto né padre, né madre, né nulla. Sono stata allevata in una ciurma di negri, da uno speculatore. La vecchia zia Sue si prendeva cura di noi. —
      Evidentemente la fanciulla era sincera, e Giovanna, trattenendo uno scoppio di risa, disse:


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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