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      Un giorno, per una negligenza inaudita, la sola della sua vita forse, miss Ofelia ebbe la disgrazia di dimenticare la chiave del suo cassettone. Essa entra, e vede il suo bellissimo scialle di crespo della China scarlatto, ravvolto a turbante sulla testa di Topsy, e costei tutta intesa a rappresentare una scena fantastica davanti allo specchio.
      — Topsy, — esclamava in simili casi miss Ofelia, perdendo la pazienza — perché fai così?
      — Non lo so, padrona; ma credo che avvenga perché sono cattiva.
      — Davvero, non potrò mai ridurti a bene!
      — Dovete farmi frustare, signora. La mia antica padrona mi picchiava sempre, ed io non lavoravo se non mi frustavano.
      — Ma io, Topsy, non mi sento disposta a punirti a questo modo. Tu puoi far bene, quando tu lo voglia; perché dunque non vuoi?
      — Perché solevano frustarmi, e credo che ciò mi giovasse. — Miss Ofelia pose in opera la ricetta, e Topsy, ogni volta che la frusta le cadeva addosso, faceva uno schiamazzo terribile: gridava, piangeva, supplicava, e mezz’ora dopo, appollaiata sul davanzale d’un balcone e circondata da tutta la ragazzaglia della casa, si faceva beffe del suo castigo.
      — La frusta di miss Felia! — motteggiava Topsy. — Poh! Non ucciderebbe una zanzara, la sua frusta. Bisognava vedere come il mio antico padrone faceva alzar la carne! Lui sì, che sapeva adoprarla bene, la frusta! —
      Topsy si vantava delle sue marachelle credendo di distinguersi con sì tristo espediente.
      — Voi negri — diceva talvolta ai suoi uditori con la massima indifferenza — siete tutti peccatori, e i bianchi egualmente, come dice miss Felia.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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