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      — disse miss Ofelia. — Vorrei imitarla. Èva può farmi da maestra.
      — Se così fosse, non sarebbe questa la prima volta che un fanciullo avrebbe insegnato a un vecchio, — disse Saint-Clare.
     
     
     
     
     
     
     
     
      XXVI.
     
     
      LA MORTE.
     
     
     
     
      La stanza da letto d’Evangelina era una spaziosa camera che, come tutte le altre della casa, dava sull’ampia veranda. La stanza comunicava da una parte con l’appartamento di suo padre e di sua madre, e dall’altra con quello di miss Ofelia. Saint-Clare aveva secondato il proprio gusto decorando quella camera in uno stile che fosse specialmente d’accordo con l’indole di colei che l’abitava.
      Le finestre erano adorne di tende di mussolina bianca e rosa; un tappeto fatto a Parigi, e del quale Saint-Clare aveva dato il disegno, era disteso sul pavimento; aveva una balza di bocci di rose e fogliame, e il centro era formato da un mazzo di rose sbocciate. Il letto, le sedie e i sofà di bambù erano eleganti e originali. Sopra una mensola d’alabastro, vicino al letto, era un angelo maravigliosamente scolpito, con le ali socchiuse; teneva nelle mani protese una corona di mirto. Il cortinaggio di garza color di rosa rigato d’argento scendeva dal baldacchino e serviva da zanzariere, difesa indispensabile in quel clima in ogni stanza da letto. I sofà di bambù eran coperti di cuscini di damasco color di rosa in gran numero, e dalle mani di statuette scolpite scendevano su quelli cortine di garza simili a quelle del letto. Una leggera e graziosa tavola di bambù posta in mezzo alla camera sosteneva un vaso di marmo greco, della forma d’un giglio col suoi bottoni, sempre pieno di fiori.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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