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      Tutti sapevano che la goduta indulgenza procedeva dal padrone e non dalla moglie di lui; ed ora che Saint-Clare non era più, nessuna cosa avrebbe salvato gli schiavi dai castighi tirannici che un animo inasprito dalle afflizioni potrebbe far loro subire.
      Quindici giorni circa dopo le esequie, miss Ofelia, che stava in faccende nella sua camera, udì bussare leggermente all’uscio, e, aperto, vide entrar Rosa, la piccola e graziosa meticcia che noi conosciamo, coi capelli in disordine e gli occhi gonfi di lacrime.
      — Oh, miss Felia, — esclamò Rosa gettandosele alle ginocchia e afferrando il lembo della sua veste — andate, correte da miss Maria, ve ne prego! Parlatele in favor mio! Essa mi manda fuori di casa per esser frustata; guardate! —
      E Rosa presentò a miss Ofelia una carta.
      Era un ordine scritto dalla mano delicata di Maria al padrone d’uno stabilimento correzionale, perché fossero applicati alla latrice quindici colpi di frusta.
      — Che mai avete fatto? — le domandò miss Ofelia.
      — Voi lo sapete, miss Felia. — io ho un’indole cattiva, che troppo male s’accorda con la mia condizione. Ebbene, stavo provando a miss Maria la sua veste nuova, ed essa mi ha dato uno schiaffo; io, senza riflettervi, sono stata arrogante. Allora miss Maria ha detto che avrebbe fiaccato il mio orgoglio e m’avrebbe insegnato, una volta per sempre, a non essere così sfrontata. Indi ha scritto questo, e mi ha ingiunto di portarlo. Oh, mio Dio! Avrei più caro che mi avesse uccisa lì subito. —
      Miss Ofelia stava in piedi, riflettendo, con la carta tra le mani.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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