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      Finito questo affaruccio, Simone tornò presso la sua proprietà e disse:
      — Come vedi, Tom, io t’ho sbarazzato del superfluo che avevi. Abbi cura delle vesti che ora indossi, poiché passerà gran tempo prima che tu ne abbia altre. —
      Simone s’accostò poi a Emmelina, seduta in disparte e incatenata con un’altra donna.
      — Ebbene, mia cara, — diss’egli accarezzandole il mento — sii di buon umore. —
      Lo sguardo involontario di spavento e di avversione che gettò su lui la giovinetta, non gli sfuggì, e aggrottando le ciglia, irritato:
      — Non tante moine, ragazza! Tu devi farmi buon viso quando ti parlo, m’intendi? E tu, vecchia pergamena, — diss’egli dando un urto alla mulatta con cui Emmelina era incatenata — non mi fare quel muso arcigno. Sarà meglio per te di guardare con più gentilezza, ti avverto. Ora, ascoltatemi tutti: — proseguì indietreggiando di due o tre passi — guardatemi bene in viso, guardatemi proprio negli occhi. Orsù!... — e pestava coi piedi.
      Gli occhi di tutti, come affascinati, si fissarono negli occhi verdastri ed acuti di Simone.
      — Ora, — diss’egli, stringendo il pugno grave ed enorme a guisa di un martello da fabbro — vedete questo?... Pesalo un poco, — soggiunse rivolto a Tom e lasciandolo cadere sulla mano di lui. — Sappiate che questo pugno è divenuto duro come ferro a forza di abbattere dei negri. Non me ne capitò mai uno che io non sia buono da atterrare con un sol colpo, — così dicendo agitò il pugno sul viso di Tom in modo da farlo retrocedere. — Io non mi fido d’ispettori.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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