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      Essa aveva la carnagione gialliccia e malsana, le guance scarne, i lineamenti affilati e tutto il corpo macilento. Ma i suoi occhi erano di una forma squisita: grandi, neri, adombrati da lunghe sopracciglia di egual nerezza, e pieni d’una tetra disperazione. Ciascuno de’ suoi lineamenti, ciascuna curva del suo labbro, ciascun movimento del suo corpo, esprimeva un’indomabile alterezza ed una sfida, mentre il profondo e disperato dolore che le si leggeva negli occhi contrastava singolarmente con l’orgoglio e l’arroganza che manifestavasi in tutto il suo portamento.
      Tom non poteva capire chi ella fosse; ma la turba degli altri schiavi la conosceva, poiché molti si voltavano a guardarla mormorando sommessamente fra loro con una gioia mal celata di vederla in mezzo ad essi, cenciosi e famelici.
      — Finalmente, c’è venuta anche lei! — esclamò uno.
      — Eh! Eh! — fece un altro. — Proverete un bel gusto, buona signora!
      — La vedremo al lavoro.
      — Bramerei sapere se alla sera avrà come noi la sua parte di frusta.
      — Sarò contento di vederla sotto la sferza, — disse un altro.
      Tom si era messo a lavorare, e di quando in quando dava alla sfuggita un’occhiata alla donna e al suo lavoro.
      Vide ch’essa aveva un’abilità naturale, e perciò eseguiva più facilmente degli altri l’opera sua. Coglieva il cotone con prestezza e bel garbo, ma conservava quell’aria altera e sdegnosa che già dicemmo. Tom, che era sempre vissuto fra persone cólte e ben educate, si accorse subito, dalla sua aria e dal suo incedere, che ella apparteneva a quella classe; ma non sapeva immaginarsi per quali circostanze fosse caduta in sì basso stato.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624