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      «Io non avevo che un desiderio, ed era di poter divenire sua moglie; pensavo che se egli mi amava come diceva, e se io ero quale egli dimostrava di credermi, consentirebbe di buon grado a farmi libera e sposarmi. Ma egli mi persuase che era impossibile.
      «— Contentiamoci d’esser fedeli l’una all’altro; — diceva — questo è matrimonio innanzi a Dio.
      «E se ciò fosse vero, non si potrebbe dire che io ero la moglie di quell’uomo? Non gli ero fedele?
      «Per sette anni non vissi, non respirai che per piacere a lui. Egli ammalò di febbre gialla, e per venti giorni e venti notti io lo vegliai; gli somministravo io sola tutti i rimedi e facevo per lui ogni cosa.
      «Allora egli mi chiamava il suo buon angelo, diceva che io lo avevo salvato.
      «Noi avevamo due bei figlioletti; il primo era un maschio a cui davamo il nome di Enrico, ed era il ritratto di suo padre; io vedo ancora i suoi begli occhi neri, la sua larga fronte tutta cinta di capelli ricciuti.
      «— La piccola Elisa somiglia a te, — egli diceva.
      «Sempre ripeteva che non v’era donna più bella di me nella Luisiana, e ch’egli andava superbo di me e de’ miei figli. Si dilettava di farci vestire splendidamente e condurci al passeggio in carrozza scoperta per udire ciò che la gente diceva di noi. Ah, che giorni felici eran quelli! Ma vennero ancora i giorni tristi.
      «Un suo cugino per nome Butles giunse alla Nuova Orléans. Egli ne aveva il più alto concetto; ma, non so come, la prima volta che io vidi costui mi fece paura, ed ebbi un presentimento delle sventure che doveva cagionarmi.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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