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      — Che c’è, sozzo cane? — disse Legrée.
      — È qualche cosa di magia.
      — Che dici?
      — Qualche cosa che le streghe danno ai negri, e ciò li preserva dal dolore quando sono frustati. Gli pendeva al collo da un cordoncino nero. —
      Come la maggior parte degli uomini empii e crudeli, Legrée era superstizioso. Prese la carta e la svolse con aria d’inquietudine: n’uscì un dollaro d’argento, e una lunga e nitida ciocca di capelli biondi, la quale, come se fosse animata, gli si attorcigliò alle dita.
      — Dannazione! — gridò egli con irritazione improvvisa, battendo i piedi, e strappandosi rabbiosamente quei capelli dalle dita come se lo scottassero. Dove li hai presi? Buttali via! Bruciali!
      Gettò i capelli nel fuoco, e soggiunse:
      — Perché me li hai portati qui? — Il negro era rimasto tutto sbalordito e a bocca aperta. Cassy, che stava per andarsene, si fermò e guardò Legrée con stupore.
      — Sia la prima e l’ultima volta che mi porti di queste cose diaboliche, se no... — diss’egli mostrando il pugno a Sambo.
      Che aveva mai Legrée? E che c’era in un semplice ricciolo di capelli biondi che potesse spaventar quell’uomo avvezzo a praticare ogni sorta di crudeltà?
      Per rispondere a ciò bisogna che torniamo indietro dando al lettore un cenno della vita di Legrée.
      Per quanto crudele e reprobo sembri ora quest’uomo ateo, fu già portato sul seno d’una madre, cullato al canto di preci e d’inni devoti, e la sua fronte, ora sì spaventosa, fu bagnata al sacro fonte del battesimo.
      Nella sua infanzia, una donna dai capelli biondi lo aveva condotto in chiesa al suono giulivo delle campane della domenica per adorare e pregare.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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