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      Non era solito ubriacarsi. La sua tempra rozza e robusta poteva comportare un continuo eccitamento che avrebbe logorato e sfinito una complessione più debole. Ma la sua profonda oculatezza lo avvertiva di non abbandonarsi che raramente ad un eccesso di bere che gli facesse perdere il dominio di se stesso.
      Tuttavia quella notte, ne’ suoi sforzi febbrili per cacciar dalla mente le funeste memorie, argomento di rimorsi che nel suo cuore risorgevano, aveva cioncato più del solito; per modo che, accomiatati i due aguzzini, cadde sopra una seggiola e fu subito profondamente addormentato.
      Come mai l’anima del malvagio osa avventurarsi nel mondo fantastico dei sogni, in quella regione i cui limiti indefiniti sono così prossimi alla scena misteriosa di un giudizio finale? Legrée sognava. Nel suo letargo grave, febbrile, gli sorse accanto una forma velata, e stese una mano fredda, leggera su lui. Gli parve di ravvisarla; e quantunque quella faccia fosse velata, il sangue gli si agghiacciò per l’orrore. Gli parve poi che quella ciocca di capelli gli si avvolgesse intorno alle dita, che salisse, salisse, e lo stringesse al collo, sempre e sempre più, talché gli veniva meno il respiro; che strane voci gli bisbigliassero all’orecchio, voci che lo facevano rabbrividire. Gli pareva poi di trovarsi sull’orlo di un abisso spaventevole, di brancolare, di dibattersi in una mortale agonia, mentre mani nere sorgevano dal profondo, lo afferravano per trarlo giù: e Cassy, sogghignando, gli veniva a tergo e gli dava la spinta.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Cassy