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      — Che è, che non sei vispo stamani? Avresti per caso preso un reuma stanotte, Tom? —
      A Tom era finalmente riuscito di alzarsi, e si teneva in piedi al cospetto del suo padrone, con ferma e serena fronte.
      — Ah, tu puoi reggerti in piedi! — brontolò Legrée, esaminandolo per tutto il corpo. — Credo che non te ne abbiano date abbastanza. Ora, in ginocchio, Tom, e chiedimi perdono della tua insolenza d’ieri. —
      Tom restò immobile.
      — In ginocchio, cane! — urlò Legrée, dandogli un violento colpo di frusta.
      — Padrone Legrée, non posso, — rispose Tom. — Io feci unicamente quel ch’io credevo ben fatto, e farò sempre lo stesso, quando l’occasione se ne presenti. No, io non commetterò mai crudeltà, qualunque cosa accada.
      — Sì; ma ella, signorino mio, non sa quel che gliene può derivare. Ella crede di aver ricevuto qualche cosa, padrone Tom; ma è un niente, glielo dico io, è un niente! Di’, bestia: ti piacerebbe d’esser attaccato ad un albero, con un bel fuoco che ti scoppiettasse intorno? Non sarebbe questo un bel giuoco, Tom?
      — Padrone, — rispose Tom — so che siete capace di far cose terribili; ma — soggiunse ergendosi della persona e congiungendo le mani — quando avrete ucciso il corpo, nulla potrete far di più; e poi, oh, vi è tutta L’ETERNITÀ! —
      L’ETERNITÀ!
      Nel dire questa parola si sentì l’anima del povero negro agitata da un brivido profondo, ma rischiarata e rinvigorita ad un tempo da una luce divina.
      Anche il malvagio gelò all’udirla, come se lo avesse tocco il morso d’uno scorpione.
      Legrée digrignò i denti, ma la rabbia gli tolse di poter parlare.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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