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      – Mi pare che siamo una bella coppia – disse ella sorridendo vedendo che ogni passante aveva un'occhiata per loro. Era impossibile passarle accanto e non guardarla.
      Anche Emilio la guardò. Il vestito bianco, che esagerava il figurino d'allora, la vita strettissima, le maniche allargate, quasi palloni rigonfi, domandava l'occhiata, era stato fatto per conquistarla. La testa usciva da tutto quel bianco, non oscurata da esso, ma rilevata nella sua luce gialla e sfacciatamente rosea, alle labbra una sottile striscia di sangue rosso che gridava sui denti, scoperti dal sorriso lieto e dolce gettato all'aria e che i passanti raccoglievano. Il sole le scherzava nei riccioli biondi, li indorava e incipriava.
      Emilio arrossì. Gli parve di poter leggere negli occhi di ogni passante un giudizio ingiurioso. La guardò ancora. Evidentemente ella aveva nell'occhio per ogni uomo elegante che passava, una specie di saluto; l'occhio non guardava, ma vi brillava un lampo di luce. Nella pupilla qualche cosa si moveva e modificava continuamente l'intensità e la direzione della luce. Quell'occhio crepitava! Emilio si attaccò a questo verbo che gli parve caratterizzasse tanto bene l'attività in quell'occhio. Nei piccoli movimenti rapidi, imprevedibili della luce, pareva di sentire un lieve rumore.
      – Perché civetti? – chiese egli costringendosi ad un sorriso. Senz'arrossire e ridendo, ella rispose: – Io? Ho gli occhi per guardare, io. – Ella era dunque consapevole del movimento del suo occhio; s'ingannava soltanto dicendolo «guardare». Poco dopo passò un impiegatuccio, certo Giustini, bel giovinetto che Emilio conosceva di vista.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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