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      La guarḍ lungamente sognando la posa in cui l'avrebbe ritratta e Angiolina divenne rossa dal piacere. Almeno Emilio avesse avuto un compagno di sofferenza. Ma no! Margherita non era affatto gelosa, e guardava Angiolina anche lei con l'occhio d'artista. Stefano ne avrebbe fatta una cosa bella, disse, e parḷ con entusiasmo delle sorprese che le aveva date l'arte, quando dall'argilla docile usciva una faccia, un'espressione, la vita.
      Il Balli presto si rifece brusco. – Lei si chiama Angiolina? Un vezzeggiativo con codesta statura da granatiere? Angiolona la chiameṛ io, anzi Giolona. – E da allora la chiaṃ sempre coś con quelle vocali larghe, larghe, il disprezzo stesso fatto suono. Emilio si sorprese che il nome non dispiacesse ad Angiolina; ella non se ne adiṛ mai e quando il Balli glielo urlava nelle orecchie, rideva come se qualcuno le avesse fatto il solletico.
      Al ritorno il Balli canṭ. Aveva una voce uguale, di gran volume, ch'egli mitigava modulandola con ottimo gusto, immeritato dalle canzoncine volgari ch'egli prediligeva. Quella sera ne canṭ una di cui, per la presenza delle due donne, non poteva pronunziare tutte le parole, ma seppe farle intendere lo stesso con la malizia e la sensualità della voce e dell'occhio. Angiolina ne fu incantata.
      Quando si divisero, Emilio ed Angiolina stettero per un istante fermi a guardare l'altra coppia che s'allontanava. – Cieco! – disse ella. – Come fa ad amare una trave affumicata che si regge a stento?
      La sera appresso ella non lascị ad Emilio il tempo di farle i rimproveri ch'egli aveva meditati nella giornata.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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