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      Capitolo V
     
      Come l'aveva detto il Balli, in causa d'Angiolina, fino a quella cena, i rapporti fra i due amici erano stati molto freddi. Di rado Emilio aveva cercato l'amico e non s'era accorto neppure di trascurarlo; l'altro poi se ne era offeso e aveva cessato di corrergli dietro, per quanto quell'amicizia gli fosse stata ancora sempre cara come tutte le altre sue abitudini. La cena tolse l'ostinazione a Stefano e gli diede invece il dubbio di aver offeso lui l'amico. Non gli erano sfuggite le sofferenze di Emilio, e quando si dileguò in lui il piacere di sentirsi amato da tutte e due le donne, piacere intenso, ma che durava una frazione d'ora, la coscienza lo rimorse. Per farla tacere, a mezzodì del giorno appresso corse da Emilio per tenergli un predicozzo. Un buon ragionamento avrebbe potuto curare Emilio meglio dell'esempio e se anche non fosse servito affatto, sarebbe valso almeno a fargli riacquistare la veste di amico e consigliere e togliergli l'aspetto di rivale da lui assunto per una debolezza ch'egli diceva una distrazione.
      Venne ad aprirgli la signorina Amalia. Quella ragazza ispirava al Balli un sentimento poco gradevole di compassione. Egli credeva fosse permesso di vivere soltanto per godere della fama, della bellezza o della forza o almeno della ricchezza, ma altrimenti no, perché si diveniva un ingombro odioso alla vita altrui. Perché dunque viveva quella povera fanciulla? Era un errore evidente di madre natura. Talvolta, quando veniva in quella casa e non ci trovava l'amico, adduceva qualche pretesto per andarsene subito subito perché quella faccia pallida e quella voce fioca lo rattristavano profondamente.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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