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      Ella, invece, che aveva voluto vivere la vita di Emilio, s'era considerata amica del Balli.
      – È in casa Emilio? – chiese il Balli impensierito.
      – S'accomodi, signor Stefano – disse Amalia lieta. – Emilio! – gridò. – C'è il signor Stefano. – Poi fece al Balli un rimprovero: – Da tanto tempo non si aveva il piacere di vederla! Anche lei ci dimentica?
      Stefano si mise a ridere: – Non sono mica io che abbandono Emilio; è lui che non vuole più saperne di me.
      Accompagnandolo verso la porta del tinello, ella mormorò sorridendo: – Eh, già, intendo. – Così avevano già parlato di Angiolina.
      Il quartierino si componeva di tre sole stanze alle quali, dal corridoio, si accedeva per quell'unica porta. Perciò, quando capitava qualche visita nella stanza di Emilio, la sorella si trovava prigioniera nella propria ch'era l'ultima. Non era facile ch'ella si presentasse spontaneamente; era più selvaggia con gli uomini che non Emilio con le donne. Ma il Balli, dal primo giorno in cui era venuto in casa, aveva fatta eccezione alla regola. Dopo averlo sentito spesso descrivere come un uomo rude, ella lo vide per la prima volta alla morte del padre; subito si familiarizzò con lui, meravigliato della sua mitezza. Egli era un confortatore squisito. Aveva saputo tacere e parlare a tempo. Con discrezione, qua e là aveva saputo discutere e regolare l'enorme dolore della fanciulla; talvolta l'aveva aiutata, suggerendole l'espressione più precisa, più soddisfacente. Ella s'era abituata a piangere in sua compagnia, ed egli era venuto di frequente, compiacendosi di quella parte di confortatore da lui tanto bene intuita.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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