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      Cessato quello stimolo, egli s'era ritirato. La vita di famiglia non gli si confaceva e poi, a lui che amava soltanto le cose belle e disoneste, l'affetto fraterno offertogli da quella brutta fanciulla doveva dar noia. Era del resto la prima volta ch'ella gli avesse mosso un rimprovero perché trovava naturale che egli si divertisse meglio altrove.
      Il piccolo tinello, oltre al tavolo bellissimo di legno bruno intarsiato, l'unico mobile della casa dimostrante che in passato la famiglia era stata ricca, conteneva un sofà alquanto frusto, quattro sedie di forma simile ma non identica, una seggiola grande a braccioli ed un vecchio armadio. L'impressione di povertà che faceva la stanza era aumentata dall'accuratezza con cui quelle povere cose erano tenute.
      Entrando in quel quartiere, il Balli ripensò all'ufficio di consolatore nel quale s'era trovato tanto bene; gli pareva di passare per un luogo ove avesse sofferto lui stesso, ma sofferto dolcemente assai. Gustava il ricordo della propria bontà, e pensò di aver avuto torto d'evitare per tanto tempo quel luogo ove si sentiva più che mai uomo superiore.
      Emilio lo accolse con accurata gentilezza precisamente per celare il rancore che gli covava in fondo all'anima; non voleva che il Balli potesse avvedersi del male che gli aveva fatto, lo avrebbe sì, rimproverato e aspramente, ma studiando il modo di celare la propria ferita. Lo trattava proprio come un nemico. – Qual buon vento ti conduce?
      – Son passato di qua e ho voluto salutare la signorina che non vedevo da tanto tempo.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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