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      Vi trovò un amico e in due si misero a demolire senza pietà le opere esposte. Con l'amarezza che gli derivava dalla sua posizione disperata, il Balli trovava tutto mediocre, insignificante. Parlava ad alta voce, con grande calore; quella critica doveva essere l'ultima sua opera di artista. Nell'ultima stanza, dinanzi al lavoro che il defunto maestro non aveva potuto finire per la malattia da cui era stato colto, il Balli si fermò meravigliato di non poter finire la sua critica sul tono su cui l'aveva tenuta sino allora. Quel gesso rappresentava una testa di donna dal profilo energico, dalle linee decise rudemente sbozzate, eppure significanti fortemente dolore e pensiero. Il Balli si commosse rumorosamente. Scopriva che nel defunto scultore l'artista era esistito fino all'abbozzo e che l'accademico era sempre intervenuto a distruggere l'artista, dimenticando le prime impressioni, il primo sentimento per non ricordare che dei dogmi impersonali: i pregiudizi dell'arte. – Sì, è vero! – disse un vecchietto occhialuto che gli stava accanto, e poggiò quasi la punta del naso sul bozzetto. Il Balli sempre più s'accanì nella sua ammirazione ed ebbe delle parole commoventi per quell'artista ch'era morto vecchio portando il proprio segreto nella tomba, meno una volta sola in cui precisamente la morte non gli aveva concesso di celarlo.
      Il vecchio lasciò guardare il gesso e si volse a considerare il critico. Fu un caso che Stefano si presentò quale scultore e non quale ispettore commerciale.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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